Testi critici, Austria, Vienna, 09 April 2009
Giuseppe Arcimboldo, il più asburgico degli artisti italiani, torna a casa. Cioè torna alla corte di Vienna, ove nacque quale interprete di una visione grottesca di gusto immortale. Prima, era stato alla Fabbrica del Duomo, nella natìa Milano. Per diritto familiare, s'intende e col compito di fabbricar cartoni. Intanto s'interessava di «diverse bizzarrìe» e il principe Massimiliano lo volle a Vienna. Qui lasciò un segno. Oggi vi ritorna, trionfante, in una mostra da «tutto esaurito». L'allestimento è presso la Picture Gallery della Kunsthistorisches, il museo di Storia dell'Arte della capitale austriaca. C'è da dire che molte delle opere, in realtà, fanno già parte delle collezioni del Museo. Le celebri allegorie delle età dell'uomo tra uve, cavolfiori, gelsomini e ottiche illusioni, ad esempio. Nella celebrazione in corso, tuttavia, c'è spazio anche per lavori del periodo milanese e di quello monzese, tavole di proprietà privata, materiale personale dell'artista. Una retrospettiva resa più preziosa dal supporto del Musée du Luxembourg di Parigi, che a Gennaio ne aveva portata in scena una analoga, con consensi oltre ogni rosea aspettativa. Cento opere, in tutto, di questo buffo, estroso giullare della mitteleuropa. Con le vetrate del Duomo nel sangue e una dionisiaca visione dell'io umano, quale forma espressiva. Da forgiare seguendo l'ovvio ideale apollineo della tradizione. Un dannunziano ante litteram. Visto che a corte organizzava eventi, intratteneva principi, ne disegnava i sogni. Una sorta di Freud ante litteram. E sono due. Del resto, quando si va a considerare l'opera dell'Arcimboldo, detto, a volte, Arcimboldi, diviene quasi inevitabile. Lui, che fu surrealista prima di Dalì, simbolista prima di Magritte, de-strutturato prima di Picasso. E quando se ne proietta l'opera, come un faro illuminante, sui cinque successivi secoli di espressione artistica umana, emergono premonizioni sorprendenti. Non del tutto casuali, però. E' noto come Giuseppe Arcimboldo sia stato, per circa quattro secoli, un artista underground. Cioè sconosciuto, ai più. Dunque, esposto al rischio saccheggio. Etichettarlo come «manierista» poi, sembra quasi un modo per non stravolgere troppo certe genealogie artistiche date per scontate. Comunque, se è vero che l'arte è solo avanguardia, oppure non è, allora l'Arcimboldo fu un vero e proprio genio. Un cool hunter, si direbbe oggi. Anticipatore di tendenze. E, nonostante risuoni ancora quanto scrisse Barthes – cioè che l'opera di Arcimboldo suscita una sorta di «repulsione» - l'impressione, invece, è che quei volti raccontino di inquietudini, divertendosi. Se non li si guarda con la sindrome da «ritratto di Dorian Gray» possono sembrare, tra l'altro, manifesti pubblicitari di un mondo biogenetico prossimo venturo. O, semplicemente, – come a voler capovolgere una sua tavola – la rappresentazione grafica de «l'uomo è ciò di cui si nutre», metafora universalizzata da Feuerbach. Andrebbe inoltre considerato che, al tempo, gli artisti di corte erano una specie di moderni fotografi di moda. La cui versione giornalistica è il "paparazzo" di Fellini. Ecco, Arcimboldi è una specie di Fellini. Che disegnò un immaginario pacchiano e sopra le righe. Quello che, per essere definito, richiede un prestito lessicale pangermanico: kitsch. L'avvento al trono dell'imperatore Rodolfo II alimentò la sete di «bizzarrìe» dell'Arcimboldo. Il trasferimento a Praga, città magica, avvenne al seguito dell'ispirato sovrano. Che, da cultore del bello e dell'arcano, mise in piedi una corte stravagante di artisti, stregoni e scienziati. Qui, il talentuoso meneghino, animato dagli studi esoterici, compie un profondo mutamento delle proprie forme espressive. Scopre l'atomismo, il simbolismo, diventa pittore alchimista. Profetizza persino Karl Kraus. «È artista solo colui che sa creare un enigma da una soluzione». La libertà creativa e la passione culturale lo resero artista geniale. Poi, sopraggiunta la cosiddetta età della pensione, Arcimboldo lasciò la corte austriaca, con tutti gli onori e un titolo nobiliare. Tornò nella «sua» Milano, ove si spense sei anni dopo, l'11 luglio del 1593.
Fonte: www.ilsole24ore.com
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