Babilonia specchio della cattiva coscienza al Musée du Louvre
Testi critici, Francia, Departement de Ville-de-Paris, Paris, 09 April 2009
Babilonia a Parigi. 5000 anni di leggenda, in un'unica mostra; dall'Eufrate alla Senna. Rive Droite, per l'esattezza. E' il Museo dei Musei a cerebrarla, il Louvre. Babele, capitale del mondo più antico che ci sia dato di conoscere, passata alla storia come una «prostituta» bramata e deprecata al tempo stesso, è, da sempre, l'esemplare ultimo dell'urbanità. L'archetipo dell'aggregazione caotica, multirazziale e multiculturale, che, sul punto di implodere per mancanza di spazio vitale, ascende al cielo. In questo senso le rappresentazioni della famosa Torre sono una testimonianza di come, nel corso dei secoli, tale immagine si sia alimentata con ciclica costanza. Nella Hall Napoléon del museo parigino, si passa dal celebre e rinascimentale ziqqurat di Brueghel il vecchio alle miniature su pergamena del quattrocento. Dagli schizzi postmoderni di Wright, teorico della megalopoli senza limiti e dunque di una «città della dispersione» si torna al cinquecento «decostruttivista» del fiammingo Teunissen. Un circolo vizioso. Così appare la storia di questa città, che visse molte volte. Alternando periodi di splendore a squallidi declini. Rigogliosa con Hammurabi, nel 1800 a.C., venne asservita da Ittiti e Assiri per tornare in auge, più di mille anni dopo, con Nabucodònosor. Il sovrano dei giardini pensili, della conquista di Gerusalemme, della Torre. Il protagonista del Nabucco di Verdi. Qualche secolo dopo, al tempo di Erodoto, la città si presentava come un ammasso di rovine, saccheggiata dai Persiani e devastata dall'incuria. Poi venne Alessandro Magno, che la eresse a capitale dei suoi territori, ma non riuscì nell'impresa di ricrearne i fasti. Quando l'imperatore romano Settimio Severo si recò a visitarla, nel II secolo d.C., vi trovò, con somma delusione, solo quattro ruderi coperti dalla sabbia. Babele, da allora, diviene l'utopia maledetta che non ha mai abbandonato l'uomo. Le leggende millenarie del primo melting pot metropolitano di cui si abbia notizia, riecheggiano nelle sale del Louvre. Tra tavolette d'argilla, insolite statue votive, sigilli di lapislazzuli e scettri di onice. «La regina della notte» è Lilitu, il demone femminile più temuto. Fascino ammaliatore immortale. L'alabastro, l'oro, le pietre preziose, i leoni che fuoriescono dai mattoni smaltati. Sembra di percorrerla, la celebre Via delle processioni, verso la porta di Ishtar. Attraverso l'asse che unisce cielo e terra. Dentro lo spirito di Babele. Con uno stato d'animo che somiglia ad un carnevale perenne. E si capisce il perché talune sottoculture dedite alla licenziosità kitsch, l'abbiano eletta a simbolo del loro regno ideale. Sede dell'inconscio collettivo del paganesimo metropolitano. Che nasconde un cuore di lucido basalto nero: il codice di Hammurabi, «la prima raccolta giuridica della storia». Un monolito, alto duecento metri, su cui è scolpita la norma più rudimentale, nonché quella di maggior successo di tutti i tempi. Quella atta a garantire la governabilità del caos che la promiscuità urbana genera: la legge del taglione.
Nel codice è quasi possibile specchiarsi, tanto è lucido, a riprova del fatto che il diritto nasce dall'uomo e all'uomo ritorna.

Il repertorio iconografico di una civiltà per cui la scrittura fu una forma di scultura è strabiliante. Una società che creò la religione monoteistica. A partire dalle sue vitali contraddizioni. In questo senso fu una «puttana». Cioè fu di tutti e di nessuno. Dunque patrimonio dell'umanità. Simbolo di quella tensione aggregativa che è il karma dell'uomo. E che si scontra con il bisogno di spiritualità da inseguirsi nella meditazione solitaria e nel silenzio della vita rurale. Sentimenti di cui erano portatori gli ebrei, fatti prigionieri dal re del Nabucco, allorquando conquistò la loro Città Santa. L'esilio fu un trauma notevole per l'intera civiltà giudaica. Oggi, alcuni studiosi affermano che quello fu il periodo della prima stesura della Bibbia. O, meglio, che la cattvità babilonese avrebbe condotto il popolo eletto alla trascrizione di quelle che erano semplici e consolidate tradizioni orali, a causa di una reinterpretazione forzata della propria identità. Come a voler preservare la propria natura senza più un re, senza un Tempio, senza territorio. Il fervente clima culturale di Babilonia favorì questo processo e il testo che se ne generò finì per favorire il mito ambiguo della città. Che assurge a luogo infernale d'ispirazione per avvicinarsi a Dio, ma senza bisogno di torri per raggiungerLo. Come la mostra di Parigi, Babilonia è tutto e niente. Un'alternanza mozzafiato di inventario della realtà e molteplici rappresentazioni di fantasia che questa ha originato, nel corso dei millenni.

Di sicuro Babele è stata la prima metropoli della storia ad aver affrontato i problemi scottanti del sovraffollamento, dell'integrazione linguistica e razziale, dell'ascesa e del declino come condizione imprescindibile per la propria esistenza. Delle morti bianche, verrebbe da dire. Una leggenda ebraica del Talmud, infatti, fa del disprezzo per l'uomo da parte dei signori che costruivano la Torre, la causa della punizione divina: un operaio sarebbe precipitato dall'impalcatura alta fino al cielo e avrebbe trovato la morte. Scrive, a tal proposito, il politologo ebreo-francese Raymond Aron: «I mastri costrutori erano completamente presi dalle loro preoccupazioni e dal desiderio di ultimare l'opera, con cui intendevano rendersi celebri. Perciò non prestarono minimamente attenzione all'accaduto, facendo portar via il cadavere senza interrompere il lavoro. Due giorni più tardi, una pietra si smosse e un pezzo di muro cadde. Allora i signori della costruzione si afflissero pensando ai tempi di esecuzione che si allungavano e alle spese da sostenere. La pietra che s'era staccata contava per loro più della vita di un operaio. Per questo Dio decise di punirli».

Babele è l'ossessione per l'architettura verticale, la pretesa di raggiungere Dio. Con l'avvento del monoteismo la biblica costruzione della Torre prende a simboleggiare la tracotanza, la presunzione megalomane dell'uomo che vuole, con i propri mezzi terreni, dare l'assalto al cielo. Un tentativo smodatamente disperato dell'umanità «di ricostruire – come ha scritto lo studioso di simbologia biblica Manfred Lurker - anche contro la volontà di Dio, l'asse fra cielo e terra, spezzato dal peccato originale». La Torre, infatti, veniva chiamata anche Étemenanki, che in sumerico vuole dire «fondamento di cielo e terra».

Risvegliare la coscienza spirituale dell'uomo, facendolo specchiare nella propria dissolutezza, come fosse una superficie riflettente di pietra lavica nera. Babilonia ha sempre avuto questa funzione, nella storia. Oggi, forse, più che ieri.

Fonte: www.ilsole24ore.com

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