Nel codice è quasi possibile specchiarsi, tanto è lucido, a riprova del fatto che il diritto nasce dall'uomo e all'uomo ritorna.
Il repertorio iconografico di una civiltà per cui la scrittura fu una forma di scultura è strabiliante. Una società che creò la religione monoteistica. A partire dalle sue vitali contraddizioni. In questo senso fu una «puttana». Cioè fu di tutti e di nessuno. Dunque patrimonio dell'umanità. Simbolo di quella tensione aggregativa che è il karma dell'uomo. E che si scontra con il bisogno di spiritualità da inseguirsi nella meditazione solitaria e nel silenzio della vita rurale. Sentimenti di cui erano portatori gli ebrei, fatti prigionieri dal re del Nabucco, allorquando conquistò la loro Città Santa. L'esilio fu un trauma notevole per l'intera civiltà giudaica. Oggi, alcuni studiosi affermano che quello fu il periodo della prima stesura della Bibbia. O, meglio, che la cattvità babilonese avrebbe condotto il popolo eletto alla trascrizione di quelle che erano semplici e consolidate tradizioni orali, a causa di una reinterpretazione forzata della propria identità. Come a voler preservare la propria natura senza più un re, senza un Tempio, senza territorio. Il fervente clima culturale di Babilonia favorì questo processo e il testo che se ne generò finì per favorire il mito ambiguo della città. Che assurge a luogo infernale d'ispirazione per avvicinarsi a Dio, ma senza bisogno di torri per raggiungerLo. Come la mostra di Parigi, Babilonia è tutto e niente. Un'alternanza mozzafiato di inventario della realtà e molteplici rappresentazioni di fantasia che questa ha originato, nel corso dei millenni.
Di sicuro Babele è stata la prima metropoli della storia ad aver affrontato i problemi scottanti del sovraffollamento, dell'integrazione linguistica e razziale, dell'ascesa e del declino come condizione imprescindibile per la propria esistenza. Delle morti bianche, verrebbe da dire. Una leggenda ebraica del Talmud, infatti, fa del disprezzo per l'uomo da parte dei signori che costruivano la Torre, la causa della punizione divina: un operaio sarebbe precipitato dall'impalcatura alta fino al cielo e avrebbe trovato la morte. Scrive, a tal proposito, il politologo ebreo-francese Raymond Aron: «I mastri costrutori erano completamente presi dalle loro preoccupazioni e dal desiderio di ultimare l'opera, con cui intendevano rendersi celebri. Perciò non prestarono minimamente attenzione all'accaduto, facendo portar via il cadavere senza interrompere il lavoro. Due giorni più tardi, una pietra si smosse e un pezzo di muro cadde. Allora i signori della costruzione si afflissero pensando ai tempi di esecuzione che si allungavano e alle spese da sostenere. La pietra che s'era staccata contava per loro più della vita di un operaio. Per questo Dio decise di punirli».
Babele è l'ossessione per l'architettura verticale, la pretesa di raggiungere Dio. Con l'avvento del monoteismo la biblica costruzione della Torre prende a simboleggiare la tracotanza, la presunzione megalomane dell'uomo che vuole, con i propri mezzi terreni, dare l'assalto al cielo. Un tentativo smodatamente disperato dell'umanità «di ricostruire – come ha scritto lo studioso di simbologia biblica Manfred Lurker - anche contro la volontà di Dio, l'asse fra cielo e terra, spezzato dal peccato originale». La Torre, infatti, veniva chiamata anche Étemenanki, che in sumerico vuole dire «fondamento di cielo e terra».
Risvegliare la coscienza spirituale dell'uomo, facendolo specchiare nella propria dissolutezza, come fosse una superficie riflettente di pietra lavica nera. Babilonia ha sempre avuto questa funzione, nella storia. Oggi, forse, più che ieri.
Fonte: www.ilsole24ore.com




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