Le opere si prendono tutto lo spazio di cui hanno bisogno e la loro dimensione passa dall'infinitamente piccolo all'infinitamente grande. Al pari delle unità di misura del desiderio. Allo stesso tempo, l'indicibile universo di erotismi raffigurato introduce a una percezione del proibito tutta cerebrale. Fatta di feticci. Lattine schiacciate come seni, un fiore infilato laddove non batte (o, non dovrebbe battere) mai il sole. Luigi Ontani è straordinario nel costringere lo spettatore a genuflettersi onde permettere una fruizione ottimale dell'opera.
Una grande foto incorniciata che, collocata per terra, dispensa messaggi d'amore e prostrazione alternativi. E' pericolosissima l'arte hard. Nel senso che costringe chi la crea a scendere nel didascalismo più becero. A manifestare compiutamente l'essenza del proprio desiderio frustrato. Quello che genera. Falli inappropriati. Falli negli undici metri. Così vicini da modificare geneticamente candide e genuine fanciulle per renderle divine. Il disegno di Hans Bellmer è speciale. E arreda, da solo, un salone. Che introduce nel piccolo e affrescatissimo teatro domestico ove il caustico Francesco Clemente mette in scena il suo cimitero degli anni ottanta. Organi bisex come lapidi della promiscuità di massa. Il curatore, Fabio Sargentini, se la ride. La sua piccola mostra dispensa orgasmi visivi perché è in antitesi rispetto alla pornografia dominante. E' talmente underground che la sensazione di violare l'intimità familiare di chi l'ha allestita è una piacevole sensazione di ineluttabile interattività intellettuale inevitabilmente inesplorata.
Perché l'arte hard nasce nel profondo. Con Paola Gandolfi che mette la Vulva al centro del Colosseo, perché Roma è Roma. E qui, l'erotismo è speciale. Dai tempi di Messalina e fino a Lucrezia Borgia. Per non parlare dell'oggi. «Roma puttana» cantava il dimenticato Barbarossa. Mojmir Jezek pare dargli ragione. Disegna strane cupole che lasciano intravedere il paradiso. In Via del Paradiso, a due passi dal serioso Giordano Bruno di Campo de' Fiori. In una piccola mostra che lascia spazio anche alle antiche e dettagliate dipinture del Rajasthan che disegnano incredibili posizioni dell'amore (si sconsiglia vivamente chiunque dal riprodurle). L'importante è mantenersi ironici. Che l'arte hard non ha niente a che vedere con ciò a cui siamo abituati. Ossia la volgarità del Prime Time. L'arte hard è introspettiva - molto più intro- che –spettiva - dunque, sacra.
Fonte: www.ilsole24ore.com





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