VERNICE Paesaggio ?
Mostre, Treviso, Castelfranco Veneto, 23 January 2010
PAESAGGIO?
Ciò che è dentro e ciò che è fuori. Il mondo interiore,
l’universo frastagliato dell’intimità, dal caos del
primordio, quando l’essere si costituisce, all’equilibrio
dell’ordine che si raggiunge nella definizione
di noi stessi e di quel che ci circonda, per cui
diventiamo le cose fuori di noi e quel che è fuori
in qualche modo a sua volta diventa noi. Apriamo
gli occhi e quel che siamo, prima ancora di essere,
trova il polo che lo definisce nelle persone, negli
oggetti, ambiente, cose, natura che ci avvolgono e
che impariamo a distinguere distinguendoci.
Un linguaggio binario e semplice si inscrive tra
le nostre emozioni e le immagini dentro le quali
scorre e si forma una vita ed il suo tempo. Diventa
sottile melodia di fondo; sostiene ed accompagna
l’evolvere delle vicende, le quali addensano la nostra
pasta personale, o all’opposto la contrastano,
dissonandola, sgranandola. Nasce così quella
radicalità di sentimenti e di affetti che promana
da quadri, idilli e scenografie, teatro della nostra
esistenza, e con essa l’architettura fine delle significazioni,
sensi e distinzioni, da cui traiamo infine
soggettualità.
E’ il fondamento puro dell’emozione, lì dove il
linguaggio può tornare a rarefarsi, per diventare
ispirazione e tradursi quindi in forma d’arte, simbolo
e rappresentazione. Basta dire “Paesaggio”,
per esprimere tutto questo? Lo è soltanto quello
di un Van Gogh, o quando un urlo produce vibrazioni
tali da trasformare tutto ciò che circonda? lo
era nel potere fortemente evocativo dei rupestri,
quando perpetuavano gli elementi naturali della
prima umanizzazione? nell’orrida rappresentazione
discalica della natura medievale, sede di forze
eterodosse ed esemplificative contro l’uomo? nel
solare terrazzarsi delle colline della civiltà comunale?
nelle macchie di colore impressioniste gravide
di languori e di corrispondenze? o ancora nella
muraglia di folla parigina, alienata all’interno dello
spazio iperurbano? oppure lo sono gli angoli retti
della civiltà metropolitana, distorti dall’illusione
ottica che condiziona le nostre percezioni?
Poco più di cinquecento anni fa, un pittore misterioso,
angelo musico e suonatore di liuto, trasferì
nella natura, natura che si natura, il proprio senso
di effimero e caducità, la pudica malinconia, la melancholia
amorosa che forse animava la sua stessa
sensibilità. Era il tempo dell’idealismo rinascimentale,
del mito della bellezza e dell’amore platonico,
della corrispondenza tra microcosmo e macrocosmo,
degli Asolani e di arcani che solo poche
persone riuscivano a condividere e questo spirito
libero e profondo seppe infondere ai visi che dipingeva
tipi nuovi, densi di espressioni e di significati
umani, lontani dal consunto linguaggio aulico, cui
egli invece reagiva. La natura circostante divenne
l’espressione cifrata di questo lirismo intenso ed
ineffabile, i cui segreti acquisivano fascino visuale
del tutto nuovo e la pittura l’inconfondibile e unica
poesia tonale del colore.
Giorgione, si dice, ha inventato il paesaggio nell’arte
pittorica e gli ha donato quella forza di espressione
ed ispirazione che ha lasciato impronta fino
ai giorni nostri.
Non c’è paesaggio che sia solo paesaggio: il paesaggio
è l’uomo stesso e ciò vale per la transizione
ideale tra costruito e immacolato come per
le masse informi dell’urbanesimo post moderno,
o per il sogno illusorio di una natura florescente.
La mostra che si inaugura in questi giorni, giorni
del Giorgione, a Castelfranco, ne è una chiara dimostrazione.
Vi troverete autori differenti per età,
stile ed esperienze, tecniche e materiali usati, ma
per tutti, nell’intensa simbolizzazione personale, si
discoprirà il paesaggio essere emozione pura che
discende dai precordi.
Il paesaggio, ancora, è il tempo, storia nel presentarsi
delle immagini delle epoche, e tempo della
vita per l’artista che ritrae; perciò un novello “orologio
da rote” può comunque trovare degna collocazione
nello spazio espositivo, confermando, al
cospetto delle mura, le quali di poco nascondono
la casa-museo del Giorgione, che davvero, nell’arte,
ciò che è dentro è ciò che è fuori.
VITTORIO CARACUTA

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