Il tempo liberato
Mostre, Milano, 05 March 2016
“I decenni volano.
Sono certi pomeriggi che non passano mai.”
Adriano Sofri, in Che pomeriggi azzurri e vuoti, la Repubblica, 29 gennaio 2003.

Con la privazione delle libertà personali, la ripetitività delle giornate scandite da compiti e attività obbligati, l’impossibilità di scegliere i propri orari di veglia e di riposo, di uscita e di rientro finiscono verosimilmente con l’alterare la percezione del tempo. Un minuto può dilatarsi fino a sembrare eterno. Un’ora (e magari proprio quella d’aria o di visita) può correre veloce come il lampo.
Anche il significato di parole ed espressioni d’uso comune viene modificato dal monotono incedere dei mesi.
Il lavoro stesso, ancor più che un diritto, una fonte di guadagno o l’affermazione di una ritrovata dignità, diventa un modo per evadere dalle pareti della propria cella e “far passare il tempo”.
Quel tempo che fatica a trascorrere.
Ecco quindi che “in certi pomeriggi azzurri e vuoti” il sogno, il ricordo, la speranza, l’immaginazione diventano fondamentali per riappropriarsi del “proprio” tempo mentale ed emotivo, sottraendolo ai meccanismi della detenzione e trasformandolo, se non in tempo libero, almeno in tempo liberato.
Dalla sua esperienza di volontaria nel carcere di San Vittore, nasce la mostra di Laura Ruberto.
I laboratori artistici e il tempo trascorso con le detenute e con i ragazzi dell’Istituto, hanno suggerito all’artista di trasferire suggestioni e racconti su tele dall’innegabile potenza e dalla scabra poesia.
Cosa si prova, cosa si vede da una prospettiva angusta, interrotta da sbarre? Con l’innata empatia che la caratterizza, Laura ce ne offre alcuni scorci. E finestre aperte sul “fuori”, alberi che nascono da crepe di muri sbrecciati, evasioni oniriche e domande senza risposta ci vengono incontro con ruvide pennellate e materiali di recupero, spesso raccolti per strada. Bulloni, chiodi arrugginiti, pezzi di rete metallica, anelli di catene abbandonate e chiavi perdute di chissà quali porte si trasformano in simboli di una libertà fantasticata, agognata o ricordata.
Ma pur sempre possibile.
E poi, certo: la prigione non è solo un luogo fisico. Sono molte le modalità e le tipologie di detenzione nelle quali, consapevolmente o no, finiamo col cadere. A volte costruendoci da soli sbarre ancor più invalicabili di quelle di un carcere.
Interrompere un meccanismo infernale, uscire dagli ingranaggi e riappropriarsi della propria identità, equivale ad un’azione di forza.
A un vero e proprio strappo.
Inutile sperare in provvidenziali amnistie. Ciascuno di noi ha il dovere di cercare con ogni mezzo la propria via di fuga.
Quella di Laura Ruberto, è in mostra dal 5 al 12 marzo.
Liberate gli occhi.

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