Falso Contatto
Falso Contatto: l'idea artistica di trasformare l'oggetto di un cestino nell'algoritmo delle trasformazioni, delle variazioni, degli spostamenti.
C'è una verità nella trasfigurazione fotografica del reale che può affiorare a prescindere dalle logiche produttive e post-produttive?
Quello che gli altri – nella logica delle necessità realizzative di un fashion shooting dislocato su un set – normalmente butterebbero con un gesto automatico in quanto errore, noi salviamo come creazione. Nessuna alterazione postproduttiva. Solo alchimia elettronica dominata dall'imponderabile digitale.
A chi è attribuibile l'errore del Falso Contatto?
Da un sensore ad un dorso, da un cavo ad una porta transita un pacchetto di bit che sono impulso, anima, qualcosa da cui traspira – non vista – un'aura del reale.
L'operator, lo spectator, lo spectrum immobili ed inermi nell'osservazione di un risultato che non c'è nella realtà dell'istante in cui si realizza.
Il punctum c'è. È quello che ti fa dire di fronte ad un Falso Contatto: riconosci, salva, archivia, tieni e costruisci sopra una visione.
Un contagio. La trasmissione modifica la forma e la struttura, sotto lo stimolo di una diffrazione non più ottica, ma elettrica.
Improvvisamente una Tigmomorfosi, è.
Non c'è aderenza né coerenza con il reale che però appare finalmente più possibile e credibile.
Giunto nella connessione elettronica dell'unione avviene l'attacco, la trasmissione, la disconnessione fatale che si fa sconnessione creativa, arte dell'errore, apoteosi del contatto, del Falso Contatto. Non conforme, non fedele ma risuonante.
Falso Contatto: una svista si rivela come vista. Un corso, in un trascorso. Un passaggio, in un assaggio.
Di qualcosa che non c'era, in una colpa non grave. In un uscire da uno stabilito o voluto.
In una sgrammaticatura della grammatica fotografica e rappresentativa.
Ma in Falso Contatto, tutto questo non è evitabile. Perché inatteso, ingestibile, non programmabile.
Ma condonabile: nella costruzione di un set, con tempi, modi e quantità da rispettare, il casuale Falso Contatto lo tieni. Non lo rimuovi. Lo scatto "corretto&giusto" lo rifai e il lavoro lo porti a casa con il mestiere e il contributo di tutti. Ma non vuoi più quel "giusto". Non lo cerchi, lo archivi come déjàvu.
Può un errore diventare un errare? Sviare dal consueto, dall'accettato, dal riconosciuto per vagare in territori dove la giusta via si affaccia con la faccia sbagliata?
Il valore di un significato è ancora più alto nella casualità dell'accadimento. Nel viaggio che ci fa vagabondare con la luce negli occhi verso quello che conosciamo e riconosciamo, ma ci obbliga a fermarci dove l'effetto di un'azione, di un pensiero ci fanno uscire allo scoperto in un giudizio che è difficile accettare, addirittura a volte immaginare.
La certezza di non errare, è quella che non ci fa andare o non ci fa sbagliare? E la mancanza e il difetto si trasformano così in un fallimento?
Bello è forse andare e perdersi, fortificante è certamente sbagliare e allontanarsi dalla vacuità dell'esatto.
Smarrimento del verosimile, perdita di contatto col reale, ingresso nella destrutturazione della rappresentazione, afferenza della casualità, intromissione dell'inaudito, tradimento della somiglianza, ricerca di una nuova veridicità debole, ottusità della verità: in un contatto labile la forza dell'errore.















Commenti 1
Il crimine efferato qui perpetuato ai danni del discorso prescrittivo della rappresentazione, diviene così rivelazione del desiderio d’Altro – ombra vacua dell’utopia, differita perpetua della morte, anoressia del logos, pratica del tacere.
La bellezza viene alla luce solo costeggiando l’abisso scuro e senza fondo, sfiorando l’orrore dell’errore. Definiamolo come vogliamo, l’importante è dargli corpo e anima.
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