Selfy, as Sarah Bernhardt
Credo che al suo interno il selfy renda sovrapponibili i tre elementi che Roland Barthes poneva come capitoli separati dell’ apparato di analisi della fotografia: operator, spectator, spectrum.
Se la integrazione sovrapposizione di operator e spectrum è di immediata percezione ( l’operatore e il soggetto sono il medesimo individuo trattandosi di un autoritratto) si può forse azzardare che anche lo spectator sia integrabile nella stessa entità poiché l’utilizzo di quell’immagine è finalizzato alla costruzione di un profilo personale all’interno di un contesto social (network) il cui senso è quello di essere vetrina di innumerevoli altre individualià. Il selfy altro non è quindi che la costruzione della propria immagine sociale o persona nel suo significato originario latino : per-sonar, la maschera indossata
nel teatro greco che rafforzava il suono della voce degli attori.
In Selfy as Sarah Bernhardt la costruzione dell’immagine gioca con i toni melodrammatici dei primi ritratti della storia della fotografia: la Diva ritratta da Nadar (ma con la dovuta ironia di una ‘acconciatura’ di erbe secche).
L’uso dello specchio è inteso ad accentuare l’ossessione narcisistica.
Il ritocco è virato su un B/W dal contrasto estremo per sottolineare il solipsismo di questa operazione: un autoritratto dalla stanza buia dell’inconscio.







Commenti 1
Inserisci commento